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Eremo di S. Onofrio
L’eremo di S. Onofrio di Caramanico
Terme è situato nella medesima valle nell’eremo di S. Giovanni; questo risale
all’incirca al 1844. È situato vicinissimo ad un piccolo affluente dell’Orfento
addossato ad una parete rocciosa; la struttura più consistente rimasta in piedi
è costituita da parti del muro laterale della chiesa che si sviluppa per circa
14 m. Dalla parte anteriore rimane in piedi lo stipite di destra
dell’ingresso, l’interno ha un deposito di 30-40 cm. di letame che copre
completamente il livello originario del pavimento. Il tetto si appoggiava ad una
parete su di una piccola cornice. Dalle testimonianze raccolte nella zona di
Caramanico pare che ai primi del novecento alcuni contadini vi abitassero nel
periodo di maggiore lavoro.
Quasi alla sommità del Vallone di Sant’Onofrio, a quota 725 m., è situato
l’Eremo (dal XI al XIV secolo circa), tra Castelmenardo, San Liberatore e la
torre di Polegro. La costruzione sfrutta, come è usuale, alcune cavità
naturali che man mano vengono allargate, essa presenta un netto contrasto tra la
zona vecchia e la chiesa rifatta esternamente nel 1948. Sono evidenti,
l’altare, i buchi dei pali che sostenevano il vecchio tetto; l’altare era
dipinto punteggiato rosso mattone e presentava dei motivi floreali tipici
dell’arte popolare. A destra dell’altare una finestrella rettangolare porta
in uno strettissimo cunicolo non ancora completamente esplorato. La parte
retrostante l’altare, dove si accede tramite due porticine poste ai suoi lati,
costituisce chiaramente il nucleo iniziale dell’eremo, un riparo di circa tre
metri di altezza, per nove di larghezza, chiuso sul davanti dal muro
dell’altare. Da qui si passa, tramite una bassa apertura ad una grotta che man
mano si restringe in un cunicolo anch’esso non completamente esplorato, sul
cui fondo sono stati ritrovati reperti osteologici probabilmente di sepoltura.
In un angolo del riparo, sulla roccia, è ricavato un giaciglio detto “Culla
di Sant’Onofrio”, su cui ancora oggi i fedeli si sdraiano per guarire dai
mali di pancia e dalle febbri ostinate. Sembra abbastanza evidente il suo legame
con la Badia di San Liberatore; la sua posizione sulla via per la montagna
dovette trasformarla ,in seguito, in una grancia della Badia dove si curavano
gli interessi agricoli.
La
Badia di S. Spirito a Majella
La
Badia di S. Spirito a Majella sorge nella parte alta della valle di Santo
Spirito ed è raggiungibile per una ripida strada proveniente da Roccamorìce.
Un ampio piazzale conduce all’ingresso del complesso. Una prima parte è
costituita dalla chiesa, dalla sagrestia, e da una parte abitativa. L’ingrasso
rifatto dal Santucci, alla fine del Cinquecento, reca al centro “Porta coeli”.
Le opere più pregevoli in possesso della badia, raffigurano l’uno la Madonna
e l’altro la discesa dello Spirito Santo nel Cenacolo. Santo Spirito a Majella
è senza dubbio il complesso più famoso e quello più grande fra quelli presi
in esame, oltre che il più ricco di storia e di tradizioni; ha subito parecchie
trasformazioni nel corso degli ultimi 1.000 anni ma conserva ancora tutto il suo
fascino dovuto alla stupenda posizione nella valle.
La
casa di San Falco di Palena
La
casa di San Falco di Palena è posta su una collina poco fuori il paese, in un
bel boschetto. La casa del santo è particolare nel suo genere, cui si aggiunge
un certo fascino dovuto alla penombra della natura selvaggia; il corpo centrale
della struttura è seminterrato lateralmente e completamente interrato sul
retro. Secondo la tradizione il gruppo dei “Sette Santi Eremiti” della valle
dell’Aventino, si sciolse dopo la morte di San Nicola Greco (ora conservato
nella chiesa omonima a Guardiagrele) e San Falco si diresse verso Palena dove,
fermatosi per riposare, fu accolto calorosamente dai paesani. In Palena, il
culto di San Falco risale almeno al XIII secolo.
Santuario
Madonna dell’Altare
Il
santuario della Madonna dell’Altare è situato sulle ripide pendici della
Porrara. Attualmente la strada che conduce al santuario, si trova nei pressi del
Valico Forchetta, mentre anticamente si usavano le famose stradine boschive
(“mulattiere”), la più usata la chiamano la “costarella” o la
“stradina delle scalelle”. Per accedere al santuario vi è un unico e grosso
portone, tutt’intorno è recintato da mura che danno al complesso l’aspetto
di una piccola rocca, vi sono due piccole porticine che conducono al giardino e
alla stalla.
All’inizio della sua lunga vita eremitica, dopo i primi dieci giorni passati
nei pressi di Castel di Sangro, Pietro da Morrone, alla ricerca di un luogo più
impervio e solitario, attraversò gli altipiani, dal Valico della Forchetta fino
alla valle dell’Aventino. Qui la Majella termina ripida ed affilata, con la
Porrara, dopo l’eremita trovò rifugio.
L’edificio risale probabilmente al XIV secolo e fu costruito dai celestini.
La
Badia di S. Maria d'Arabona
La valle di Fara S. Martino
La
Valle di Fara San Martino, è ancor oggi meta di una processione che i devoti di
Atessa compiono sul luogo dove sorgeva il monastero di S. Martino in Valle. Il
monastero esiste ancora, ma è sepolto sotto 10 m. di detriti, dai quali spunta
solamente il campanile, quasi ad invocare aiuto. Tale Santuario, ha generato la
cella eremitica di Santo Spirito, poco dopo la confluenza dalla Valle delle
Mandrelle. Oggi appare un grosso riparo, la cui parte centrale conserva la Cella
eremitica.
Probabilmente questo sito fu scelto per la sua vicinanza ad una sorgente
d’acqua; fu certamente usata questa zona dai cacciatori dell’età del Bronzo
che trovavano anch’essi un riparo. Il monastero potrebbe risalire all’VIII
secolo, oppure molto probabilmente all’XI secolo.
Sant’Angelo di Lama dei Peligni è situato in una grotta, la cui natura è già
impervia, l’ingresso è formato da un lastrone di pietra liscia. La zona
presbiteriale, con i resti dell’altarino è situata su un terrapieno ricavato
mediante un muro di sostegno, il muro che sorreggeva l’altare costituisce il
resto più cospicuo, l’androne più piccolo era probabilmente il più
abitabile perché il terreno è meno scosceso, conteneva in origine una piccola
statua di Sant’Angelo, che fu scaraventata nella Valle per non aver fatto
cessare un temporale che durava da tre giorni. Fu il riparo del ricco notaio De
Camillis di Lama, che tradizione vuole, abbia lasciato uno stivale pieno
d’oro, ritrovato all’incirca nel 1700; fu proprio per questa caccia al
tesoro che vennero abbattute le poche mura rimaste.
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